martedì 7 settembre 2010

Bazar Motta

Il primo approdo sicuro, dopo la lunga estate di sabbia e mare, era per molti bambini, me compreso, la libreria Motta.
In un calendario scandito dai nove mesi della scuola e dai tre estivi, settembre significava l’inizio di un nuovo giro di ruota, e conseguentemente la fila interminabile per ordinare i libri per il nuovo anno scolastico.
Al tempo erano due le possibilità. Lo Scaffale, cartoleria della XVI traversa, per quelli che abitavano nei pressi e per gli affezionati, e appunto la libreria Motta di via Roma.
A chi è abituato a frequentarla oggi, questo breve ritratto potrà sembrare la visione distorta di uno scrittore ubriaco in preda ad allucinazioni.
Ma all’epoca la libreria Motta non era una libreria. Era ciò che Giovanni Motta senior, nonno dell’attuale Giovanni Motta, aveva pazientemente allestito: un bazar.
Il bazar Motta era veramente un bazar. Non si chiamava più così da tempo, ma non era per nulla cambiato, fino al momento in cui è diventato l’attuale libreria. Perdendo e guadagnando nello stesso tempo.
L’arco che oggi collega l’atrio con i libri in vendita al bancone della cassa, era una porta inaccessibile, che lasciava intuire i recessi di un misterioso e popolato retrobottega.
Nell’unico ambiente aperto al pubblico si fronteggiavano due pesanti banconi di legno con il piano in vetro, adibiti a vetrina. Entrambi i banconi, più un terzo che faceva da quinta, in fondo, avevano alle spalle alte scaffalature scure, per lo più occupate da stoffe, pur in un assortimento di altri articoli appartenenti all’intero campo delle categorie merceologiche esistenti in natura.

Incontrastata regina del bazar era la signora Marchese, moglie del Giovanni Motta fondatore.
Sempre più curva sotto il peso degli anni, vestita di nero, i capelli grigi raccolti in un tuppo eterno, conosceva ogni angolo del negozio e dell’animo dell’acquirente, peggio per lui se la richiesta non era sufficientemente chiara o decisa.
Con rapida ed efficiente alacrità, turbata solo dai furtarelli che bande organizzate di ragazzini in marcia verso la scuola o di ritorno, mettevano in pratica rischiando sgridate severissime (per quanto mi riguarda un uniposca arancione che avrei risarcito anni dopo a modo mio) riforniva i clienti di bottoni, cerniere, penne, soda caustica, calze, abiti, pennarelli, nastri, gomitoli, stringhe, cartoncino e qualsiasi altro articolo previsto dalla licenza di un bazar. Ovvero ogni oggetto. Poteva non essere disponibile al momento in negozio, sarebbe arrivato.
A settembre, invece, e per i mesi successivi, le pezze di stoffa lasciavano il posto alle pile di libri di testo, di quaderni, di diari.
Nella libreria Motta si ripeteva la stessa magia autunnale dei boschi.
Esattamente come i funghi, infatti, libri e affini, spuntavano nella frescura delle prime luci dell’alba dall’automobile di Pippo Motta, gestore e proprietario tra un Giovanni e l’altro, pazientemente parcheggiata davanti ai distributori catanesi sin dalle prime ore della notte. Le leggende metropolitane sulle attese notturne, giocate tutte sull’anticipare il diretto concorrente e accedere per primi alla distribuzione, non si contano, ma dicono di freddo e di termos di caffè. E di bastoni con i nodi, a quanto pare.
Al pomeriggio o di sera, in compagnia di mio padre, ricordo ripiani traboccanti di antologie spesse e profumatissime, di dizionari di lettere astruse. E poi il libro di storia in cui trovare le risposte alle tante domande poste dal libro di storia dell’anno precedente, le foderine al petrolio per salvaguardare l’ordine e l’estetica, la distrazione della scelta cruciale del diario giusto.
E file interminabili che avanzavano lentamente tra buoni, rimborsi, cedolini, liste da spuntare, “deve arrivare, ripassi domani, arrivederci”.
Un’oliatissima macchina da guerra, gestita con piglio militare (nessuno avrebbe potuto immaginare allora che, ancora troppo basso per emergere da dietro il bancone, c’era già il piccolo soldato Giovanni Motta al lavoro) che in poche settimane riforniva la metà e forse più della popolazione studentesca belpassese costringendo i pochi furfanti alla bugia in classe: “Prof il libro non è arrivato”. E se solo il professore avesse chiesto il nome della libreria ritardataria, sarebbero stati schiaffoni o pessime figure.
Ritengo che i Motta, al netto delle componenti affettive, non abbiano nostalgia per quegli anni.
La fatica di chi stava in fila durava anche un’ora, quella di ammansire la fila ogni giorno per mesi, durava e basta.
La scolastica, così si chiama questa particolarissima stagione per una libreria, oggi si affronta con strumenti diversi. Le liste dei libri da acquistare sono disponibili già alla fine dell’anno scolastico, esistono le prenotazioni, ci si organizza per tempo con rappresentanti e distributori. La fatica resta, ma è meglio ammortizzata.
Come allora però sono mesi assai particolari, in cui centinaia, migliaia, di libri impilati modificano l’assetto di un negozio e i sonni di chi quel negozio lo gestisce. Con la speranza, inconfessata, che possano quei libri tener svegli quanti più clienti.
Il bazar Motta col tempo è diventato altro.
Anni fa, quando Pippo Motta spuntava l’ultimo libro della lista dicendoti: “Abbiamo finito”, con una mano ti accarezzava la testa e con l’altra per festeggiare ti regalava un atlante Zanichelli.
Non l’avevo mai ringraziato prima di adesso.
(Ringrazio Car+C+8 Design per l'immagine) 

6 commenti:

  1. Queste righe mi riportono indietro come una macchina del tempo...ricordo gli anni passati.
    Quel ricordo offuscato diventa limpido...

    Complimenti a Pnigpp da oggi Aligheri e all'intramontabile famiglia Motta.

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  2. ..ogni singola parola suscita in me emozioni e ricordi lontani..grazie come sempre G. !! a queeletà non apprezzavo molto i libri di scuola..ma ricordo con tanto fervore il momento in cui il sign. Motta senior mi faceva scegliere l'atteso regalo..tra penne profumate, gommine colorate e colori floruescenti!!

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  3. è bello scoprire come il mondo visto con gli occhi di un bambino, si animi e si muovatra spazi e persone la cui vit si sovrappone a quella della fervida e poetica fantasia. il racconto è una rilettura di un adulto che ricorre alla memoria( ferrea) di un tempo e di un essere che fu. un omaggio tardivo, un tentativo di rivivere e far rivivere esperienze addirittura olfattive, a chi, come lui, è entrato in quel luogo, magari distrattamente, con la noia del dovere, con la riluttanza della scuola e dei testi ad essa collegata.
    non sono mai stata nel bazar motta. posso solo intuirne l'esistenza ormai andata. A Roma si ordinava e si ritirava il necessario salutando educatamente la cartolibraia di turno, senza particolari emozioni. non ricordo regalini di fedeltà. ma questa è un'altra storia. la mia.

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  4. vorrei dire tanto...ma riesco a dire poco...perchè leggendo ogni tuo racconto le emozioni e i pensieri che mi sopraggiungono alla mente sono più delle parole che riuscirei a pronunciare (o a scrivere in questo caso). Non ricordo nitidamente la libreria Motta quand'era ancora un bazar (avevo qualche anno in meno di te), ma non dimentico i periodi trascorsi lì dentro a spuntare, a caricare, a spolverare e a sistemare ogni singolo libro(e qualcuno anche a leggerlo previo suggerimento tuo)! E poi dentro quella libreria ho conosciuto una persona speciale come te, per questo anch'io devo dire grazie alla famiglia Motta.

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  5. .....fra i tanti personaggi di commercio di allora presenti nel nostro bel paesino, che definirei per estensione quartieristico, c'è da annoverare la putia di don peppino (per i presenti il nonno di Giuseppe) dove si comprava nei nostri pomeriggi estivi del buon gelato a forma di pipa (non so se vi ricordate, ma io l'ho tenuto in mente per una ragione ben precisa....)degustatato il gelato l'astuccio rimanente veniva utilizzato come tappo sulla marmitta del furgoncino fiat azzurrino cielo, la cui forma appiattita nel finale ci permetteva l'incastro alla perfezione, parcheggiato dall'anziano che ricordo essere fra l'altro molto simpatico, non ci negava mai un sorriso, e noi piccoli furfantelli replicavamo al suo aggiungendi un pizzico di malizia vista la sorpresa che l'attendeva... bhe ricordo che da allora il buon uomo prima di rimettersi in marcia dava sempre una controllatina sul finale...
    Ah dimenticavo c'era una pecca in questa putia cu don peppinu non si puteva futtiri nenti....praticamente impossibile i suoiocchi erano più efficaci/efficente degli anticheggi...

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