lunedì 30 settembre 2019

E in compagnia della Vergine SS.


Monsignor Francesco Mio, rettore della chiesa del Carmine di Belpasso.
(5 maggio 1924 - 24 settembre 2019).

In memoriam

Ora che se ne è andato, sarà più semplice togliersi un peso dalla coscienza. 

Ho conosciuto monsignor Mio che era già monsignore, a fine anni ottanta. Mi sono trovato decine di volte con lui, anche da solo: nella sagrestia della Chiesa di S. Antonio Abate prima di servirgli messa; sull’altare, da chierichetto, o in processioni podistiche tra il paese e la Madonna della Roccia, ai tempi delle presunte "apparizioni mariane"; in macchina, una Panda bianca, per occasionali passaggi quando da liceale facevo l’autostop con il mio amico e sodale S.M.

Non ricordo di avergli mai mancato di rispetto, impensabile: nonna-zia-zie-prozie e parenti tutti, mi avrebbero messo in salamoia, a tranci. Tale era l’affetto e il legame. Con lui. 
Battesimi, matrimoni, prime comunioni e cresime, estreme unzioni e funerali. Ogni sacramento di Santa Romana Chiesa è stato da lui somministrato a uno o più membri della mia famiglia, da cinquanta anni fa fino a quasi ieri. Me compreso, Prima Comunione, classe di incenso 1988.

A quell'epoca, quando avevo quasi dieci anni, la messa riservava ancora aspetti interessanti, ascoltavo le letture, mi perdevo nelle risposte e andavo in tilt regolarmente durante la preghiera dei fedeli, quando sommarie buone intenzioni scritte su foglietti volanti, erano intervallate da un ritornello che, a essere fortunati era "Ascoltaci oh Signore", ma che in versioni più arzigogolate diventava inevitabilmente, subito dopo la prima strofa, l’oraaapronooobiss di Gasperino il Carbonaro.


Le omelie di monsignore erano torrenziali, supportate da una gestualità che ne esaltava la lentezza, complice un tono della voce un po' nasale, avevano il potere di annichilire.
Il suo ite missa est, era poi una specie di firma, un marchio di fabbrica, il sigillo cantilenante prima del rendiamo grazie a Dio finale (che io accoglievo il più delle volte come il triplice fischio di una partita di calcio) pronunciava il suo: "Fratelli, nel nome del Signore, e in compagnia della Vergine Santissima (e qui si aiutava con il gesto della mano per mimare quell'in compagnia)…andate in pace.
Spero sia riuscito a bisbigliarlo per sé, prima di morire, pochi giorni fa.

Un giorno di febbraio di quasi dieci anni dopo, mi capitò di andare a cercarlo.
Carnevale alle porte, ultimo anno di liceo, in due, io e il suddetto S.M., avevamo deciso di optare per un outfit religioso. 
Procurato con scoutistica facilità un saio vagamente domenicano (usato da un improbabile Fra Tuck, in un remoto carnevale a tema Robin Hood) andammo in cerca di una veste talare.
Da monsignor Mio, a casa sua, a pochi passi dalla Chiesa Madre. Coefficiente di difficoltà della sfida: estremo. 
Defcon 1.
Ci ricevette con affetto, ascoltò la nostra richiesta, si premurò di dirci che aveva solo qualcosa di dismesso e logoro e ci consegnò l'agognato camicione nero con 118884 bottoncini.
Unica raccomandazione, non ridicolizzate l'abito. 
E io, che non ebbi il cuore di parlare di Carnevale e di feste alcoliche, lo rassicurai che l'avrebbe indossato un attore durante la rappresentazione amatoriale di un copione improntato al cristianesimo sociale, storie di massari e di anni antichi, di valori rurali di un tempo, di tonchitirichitonchiti e bla, bla, bla.
Ma erano i freddi giorni tra il 19 e il 24 febbraio, martedì Grasso anche per lui, credo fosse più preoccupato dalla Quaresima che s'approssimava, che della nostra festicciola scolastica. 
L'abito fu restituito pochi giorni dopo, fresco di tintoria, nella massima soddisfazione reciproca tra le parti. 
Monsignore, sapido scrittore e autore di lavori anche leggeri, non mi chiese nulla della recita. 

Con S.M. monsignore per un giorno, febbraio 1998.

All'epoca mi succedeva ormai di incontrarlo solo in qualità di raffinato studioso, essendo finito per me il tempo delle messe coatte. 
Suoi i saggi raccolti in volume dalla BpB, sulla storia di Belpasso, che costituivano l'abc della storia del paese. 
Si favoleggiava di sue prodigiose qualità nel tradurre il latino; l'occasione della tentata autonomia della frazione di Piano Tavola, infine, mi avrebbe permesso, anni dopo, di leggere anche le sue idee storico-politiche.

Fonti attendibilissime mi raccontano di un giovane, illo tempore innamorato dello studio, appassionato di lettere e di storiografia antica, e ancor più locale, cui diede negli anni ottanta soprattutto, pagine di acclarata completezza. 
Altre fonti, ugualmente attendibilissime, mi restituiscono invece il ritratto di un professore (lo fu, alle medie di Belpasso, per anni) di religione  pigro, poco interessato alla cattedra, più alla lettura del giornale. 
Forse per indole, forse non sempre e non in tutte le classi.
Forse per quella bizzarria concordataria del far pagare al Ministero della Pubblica Istruzione gli stipendi di insegnanti assunti dall'Arcivescovo. Tema su cui non si ridacchierà mai abbastanza in certi lunghi corridoi, freschi d'estate, tiepidi d'inverno, con vista su Castel S.Angelo. 

In seminario avrebbe voluto studiare matematica, ma in quegli anni la Curia catanese, uscita malconcia dalla guerra (soprattutto per quanto riguardava le sue strutture, devastate dai bombardamenti Alleati e provate dall'immane sforzo di dar pane a moltitudini di sfollati) badava al sodo: studi ordinari in seminario, latino d'ordinanza e via, nelle parrocchie a dir messa, battezzare, ricostruire case e famiglie a pezzi. Con la parola e con la carità, con l'abbraccio alle tantissime vedove, ai reduci, ai mutilati.  
E, nel tempo, per consolidare lo status quo di una Democrazia Cristiana che iniziava la sua ascesa plebiscitaria. 

Monsignore non lo era ancora, ma da parroco della Chiesa di  S. Antonio, si spese senza tregua nell'Istituto Magrì e al Sant'Angela Merici, enti assistenziali e scolastici, tenuti rispettivamente dalla Curia e dalle suore Orsoline.

Negli anni Sessanta ebbe l'incarico di responsabile della Pastorale liturgica, per presentare e diffondere la nuova liturgia uscita emendata dai lavori del Concilio Vaticano II.
Diventerà monsignore in segno di apprezzamento e riconoscenza proprio per questo servizio prestato.
Penna apprezzata, spesse volte raffinatissima, scrisse più tardi, per conto dell'arcivescovo Luigi Bommarito, morto soli pochi giorni prima di lui, documenti pastorali e discorsi,


Cultura classica e storiografica. Carità. E sobrietà.
Camminava per le vie di Catania, ai tempi del seminario, e poi da frequentatore dell'Arcivescovado, sul marciapiedi opposto rispetto a quello in cui lo seguiva a distanza di sicurezza la sorella, affinché nemmeno l'equivoco del sospetto potesse sfiorarlo. 
Nonostante ciò le sempre allenate lingue del paese (a' forficia sempre affilata e in servizio permanente effettivo) non mancarono di attribuirgli fantasiose love story, ben prima della fortunata stagione di Uccelli di rovo.
Ma sono ricordi che mi sono stati generosamente offerti. 
Una sua celeberrima presa di posizione, invece, la ricordo bene. Segnò una rottura insanabile con la popolazione maschile locale (e non) tra i dieci e i novantanove anni: in occasione dei festeggiamenti per l'agostana Madonna delle Grazie, insorse contro la Giunta e il Sindaco, che avevano osato offrire quale pubblico spettacolo, Jo Squillo e Sabrina Salerno. Del panem si occupava la chiesa, leggendarie le sue capacità di aiutare i bisognosi, pagando i tanti conti e conticini lasciati insoluti dai debitori, del circenses, ahi noi, pure.
E noi boys, boys, boys, fummo costretti a chissà quale moralmente accettabile alternativa, ma "con approvazione ecclesiastica".

Il paese tutto lo ricorda con affetto, mi dicono, e non ho difficoltà a crederlo.
Se posso unire alle altre la mia preghiera, possa spendersi il giusto per acquisire e rendere fruibile lo sterminato archivio che ha lasciato, nella speranza che i pubblici attestati di stima, i funerali solenni, le celebrazioni, possano per una volta diventare omaggio sincero alla vita e all'opera di un sacerdote. Buono.
Ripetiamo insieme: Ascoltaci oh Signore.

2 commenti:

  1. Bel ritratto.....anche se manca del tutto l'aspetto caritatevole che lo contraddistingueva....di carità ne fece tanta anche se mai palesata e sbandierata... faceva spesso il giro nelle macellerie, nei rivenditori di bombole , nelle "putie", a saldare debiti di famiglie bisognose, ma senza mai sbandierarlo......Grande amatore de "L'Italiano" di Toto Cutugno, che ci faceva cantare a chiusura delle amene serate passate in cortile della parrocchia...Lui non la cantava, ma si intuiva dal suo quasi impercettibile muovere delle labbra, che ne conosceva bene il testo...ricordo il suo sorriso fresco e sincero a compimento della nostra esecuzione....Nei tanti anni di frequenza della parrocchia, non ricordo mai, di avergli sentito alzare i toni, mai una parola o una frase urlata...ma sempre un tono pacato anche quando c'era da non approvare...anche quando Don Maurizio Pagliaro, già allora più che vivace , alla vista del nuovo taglio di capelli del monsignore, con un balzo da felino gli piantò sulla nuca una fragorosa sberla pronunciando: MONSIGNORI, STI QUATTRU ITA DI COZZU CCI MANNA SO PATROZZU....e dinanzi al nostro gelo ,monsignore rispose solo con un sorriso.
    Marina Piana

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  2. Ciò che so di lui deriva dal fatto che, da un lato, alcune delle mie fonti lo descrivono come un dominus sine titulo di documenti e archivi storici, e dall`altro, altre ne parlano come di un dispensatore instancabile di elemosina verso ogni tipo di indigente.

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